Nel cuore del centro antico di Ruvo di Puglia la trecentesca chiesa dell’Annunziata e la contermine chiesa di Santa Caterina accolgono la restituzione alla collettività di un importante tassello dell’arte sacra cittadina. Grazie all’intervento del Capitolo Concattedrale di Ruvo di Puglia, dell’Ufficio Beni Culturali e del Museo Diocesano sono state recuperate, da depositi inopportuni, numerose statue e diversi dipinti provenienti in gran parte dall’arredo barocco della Cattedrale di Ruvo di Puglia.
Le opere, già catalogate e fotografate negli anni Settanta del secolo scorso dal CTG Torre del Pilota e più volte segnalate dal Sedente, tornano ora nella piena disponibilità degli studiosi e dei turisti ma anche, e soprattutto, dei cittadini che si riappropriano così di pagine luminose di storia e fede secolare.
Nella chiesa dell’Annunziata, edificata nel 1377 e poi completamente rimodernata a metà Settecento, è stata innanzitutto ricollocata la tela settecentesca dell’Annunciazione. Quest’opera, attribuita nel catalogo redatto da Francesco Di Palo al terlizzese Gioacchino Quercia, è stata da sempre al centro di una sentita devozione popolare in occasione della festa dell’Annunciazione sia nella chiesetta omonima sia col trasferimento nella chiesa del Redentore. Ora, con la sua probabile e definitiva musealizzazione, si è purtoppo cancellato questo importante culto secolare cittadino.
Accanto alla “titolare” del tempietto sono esposti alcuni tra i pezzi più pregevoli della mostra: le statue di San Giuseppe e San Pietro, uniche superstiti del distrutto altare maggiore della Cattedrale. Significative sono le statue lignee, molto provate dall’umidità, della Madonna e di San Giovanni che costituivano con molta probabilità un trittico col Crocifisso ligneo della Cattedrale, ancora esposto nel monumento.
L’imponente statua di San Michele Arcangelo che schiaccia il demonio, proveniente dall’omonima cappella della Cattedrale, occupa la parte centrale dell’aula liturgica ed è accompagnata dai due simulacri lignei, forse opera di Nicolantonio Brudaglio, raffiguranti San Donato e San Francesco da Paola.
Le due piccole sculture in pietra raffiguranti Santa Lucia e San Leonardo raccontano i restauri cinquecenteschi del maggior tempio della città, insieme a un piccolo lacerto di affresco staccato con la Madonna e il Bambino. Le due grandi tele raffiguranti la Caduta di Cristo e la Vergine dei Sette Dolori tra i santi Francesco Saverio e Ignazio risalgono, invece, al Seicento e commemorano le vicende episcopali dei Vescovi Galesio e Giannone Alitto. È collocata in una delle nicchie laterali, anche la piccola tela, completamente imbrunita, raffigurante il tenero abbraccio tra la Vergine Dolente e il figlio deposto dalla Croce. Altre due statue lignee, raffiguranti stavolta San Pietro d’Alcantara e Sant’Antonio di Padova, raccontano l’involuzione del gusto nel tempo: da alcuni saggi si intravedono infatti gli originali incarnati e la doratura delle vesti coperti nel tempo da inopportune e statiche verniciature. Sul santo patavino sono stati già effettuati alcuni iniziali saggi di pulitura ma è soltanto l’inizio: la Diocesi ha comunicato di aver già adottato il completamento delle operazioni di restauro dell’opera che saranno effettuate da Giuseppe Chiarella e Rosanna Virginia Guglielmo.
La mostra rappresenta, quindi, l’occasione per intraprendere un nuovo percorso di ripristino di queste testimonianze per destinarle all’istituenda sezione ruvese del Museo Diocesano che sarà capace di offrire, scrivono dal Museo Diocesano, attraverso l’arte sacra e le testimonianze della fede dei ruvesi un ulteriore contributo di lettura dell’identità di una città d’arte e di storia, qual è Ruvo di Puglia.
Nella seconda stanza, l’antica sagrestia dell’Annunziata, sono esposte opere che raccontano stralci di devozione privata dei vescovi di Ruvo e dei ruvesi. Sono stati lì collocati due piccoli dipinti su carta raffiguranti i santi Antonio Abate e Francesco Saverio, una interessante tavoletta ex voto proveniente dal santuario della Madonna delle Grazie, e alcuni quadri con cornici dorate coeve raffiguranti la Vergine Addolorata, la Crocifissione e l’Annunciata. Nella stessa sala è presente anche un quadretto raffigurante la Virgo lactans. Le pareti principali sono occupate dalla grande tela raffigurante i santi Antonio, Gennaro e Rocco, forse voto per una scampata epidemia, e dal quadro, anch’esso di grandi dimensioni, raffigurante la Vergine Immacolata.
Nel passaggio verso la terza stanza è stata posta una statua marmorea novecentesca, raffigurante la martire Maria Goretti, proveniente dalla chiesa dell’Annunziata e dotata anche di una piccola acquasantiera.
Nell’ultima sala, la cappella di Santa Caterina, un tempo di patronato della famiglia Carafa d’Andria, vi è il racconto della storia recente dell’arte sacra dominata dalla cartapesta, con uno sguardo interessante sull’importante artista molfettese Corrado Binetti. Sono esposte, oltre alla statuetta della santa titolare della cappella, opera del leccese Caretta, il gruppo statuario della Crocifissione con Madonna e San Giovanni, attribuito al molfettese, una piccola statua di Santa Rita, anche’essa del Binetti, il gruppo del Battesimo di Cristo, proveniente dal battistero della Cattedrale, e una statua opera di scultori di Ortisei raffigurante l’Addolorata.
Inedita e interessantissima per la sua valenza storica è la statua da vestire datata 1834 e raffigurante una Santa non ancora identificata. L’opera riporta la firma del cartapestaio napoletano Agnello Milano con atelier, specifica l’iscrizione sul corpetto, nella strada San Nicola dei Caserti della città partenopeo.
Questo autore è alquanto sconosciuto alla critica. Sono da segnalare, al momento, sole due sue opere: un tondo a rilievo del 1840 raffigurante la Trinità, posto nella chiesa napoletana di S. Maria delle Grazie a Caponapoli e una statuetta, alta un metro, datata 1827, raffigurante la Vergine e conservata a Maddaloni (Caserta). Quest’opera, riferisce la scheda di catalogo dell’ICCD, riveste un notevole interesse storico e documentario, in quanto è tra le rarissime opere fimate da cartapestari del settecento e dell’ottocento. Lo stile dello scultore si adegua a quanto gli scultori in legno venivano a realizzare tra il Settecento e l’Ottocento. Concetto facilmente accostabile anche all’opera ruvese.
Il recupero di queste importanti testimonianze artistiche e devozionali è occasione propizia per una profonda riflessione sul ruolo della cultura nella costruzione dell’identità cittadina di Ruvo per il futuro prossimo. Una città che deve puntare tutto sulla salvaguardia dei suoi tesori del passato, in un’ottica di fruizione moderna e votata al turismo, tralasciando solo per un attimo le irriducibili beghe di campanile e i personalismi nell’interesse unico della collettività. Per fare così di Ruvo una vera città d’arte a tutto tondo.