La chiesa de’ Cappuccini è da annoverarsi dopo S. Angelo. Questa è piccola, secondo l’ordine serafico, ma bella. Li monaci sono venerandi per la di lor vita austera e ritirata. (1)
Questa stringata descrizione di Salvatore Fenicia sulla chiesa dei Cappuccini di Ruvo di Puglia, ci introduce al racconto di un importante “pezzo d’arte” scomparso da quel sacro tempio: l’altare maggiore ligneo.
Il convento dei Cappuccini di Ruvo di Puglia fu edificato tra il 1607 e il 1609 fuori dall’abitato, a pochi passi dalla porta del Castello, in un luogo significativo per i trasporti dell’epoca. Nei pressi del cenobio, infatti, vi era il tracciato dell’antica via Traiana, direttrice di vitale importanza per i commerci e gli spostamenti, non solo durante l’età antica ma anche durante il medioevo e l’età moderna.
Il convento fu costruito nel rispetto dei canoni dell’ordine francescano, assecondando il principio di povertà e modestia tipico dell’ordine fondato dal santo di Assisi. Il cenobio ruotava attorno al chiostro nel quale si apriva il pozzo di raccolta delle acque piovane. Al piano terra erano ospitati gli ambienti comuni del convento, cucina, refettorio e locali di servizio, mentre al piano superiore vi erano le minute celle dei frati.
La chiesa del convento, intimamente connessa a questo, fu consacrata il 23 ottobre 1677 dall’allora Vescovo di Ruvo Domenico Galesio che la dedicò a S. Maria Maddalena.
Poco meno di un secolo dopo, alla metà del Settecento, il sacro edificio fu completamente ristrutturato: l’austera chiesa francescana venne inondata di stucchi e dettagli in oro per adeguarla all’imperante gusto barocco ma tenendo sempre a mente l’austerità delle rigide costituzioni dell’ordine. Alcune delle opere d’arte della vecchia “veste” del tempio furono recuperate e adattate alle nuove cappelle decorate con dossali a stucco. E’ il caso, ad esempio, della tela raffigurante la “Madonna col Bambino, Sant’Anna, San Giovannino, San Domenico e San Francesco”, firmata da Nicola Gliri nel 1676(2), che venne rifilata lateralmente per essere accolta nella terza cappella della navata destra.
Nel contempo diverse altre opere d’arte furono commissionate agli artisti locali più vicini allo spirito francescano. Sulla controfacciata venne, ad esempio, posta la grande tela, datata al 1790, raffigurante “Mosè e il Serpente di Bronzo” opera del pittore terlizzese Gioacchino Quercia (recentemente restaurata ed esposta nel Museo Diocesano di Molfetta).
Gran parte dello sforzo finanziario, però, fu destinato all’altare maggiore, in conformità alle indicazioni dell’ordine che prevedevano per l’arredo sacro, il tabernacolo e le suppellettili legate all’Eucarestia l’unica deroga al divieto alla “preziosità delle cose”. Ad opera di falegnami e di ebanisti, le chiese ed i conventi si vestirono di arredi realizzati con il legno, umile materiale che finì per avere un dominio incontrastato(3).
Sulla parete di fondo della navata principale della chiesa ruvese fu installato un grandioso altare ligneo della tipologia “a retablo”(4). Questa tipologia di altare, originaria della Spagna, si diffuse nelle province del Sud Italia dalla fine del ‘500 ed è composta da una “griglia” lignea o di altro materiale che suddivide la parete in scomparti contenenti statue o tele(5). La cona a “retablo” sembra essere stata assai apprezzata dai Francescani, specie dai Cappuccini. Di fatto tale schema si ripete, seppur con qualche variante, in quasi tutte le chiese dell’ordine.
Un’efficace descrizione dell’altare ruvese, purtroppo rimosso e distrutto nel corso della metà del Novecento, ci è fornita dalla schede di catalogo redatte nel 1937 dalla dott.ssa Maria Luceri per la Regia Soprintendenza alle Opere di Antichità e d’Arte della Puglia e oggi depositate presso l’Archivio Storico delle Schede di Catalogo dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione in Roma. Il documento, che pubblichiamo integralmente, descrive con dovizia di particolari l’opera e permette di scrivere nuove pagine della storia della statuaria lignea pugliese.
Altare maggiore di legno dipinto con statue di legno. La cona è divisa in tre scomparti da colonne. Nella nicchia centrale è la statua dell’Immacolata in piedi col volto ispirato levato in alto, un po’ verso destra, e la persona di tre quarti verso sinistra, con le mani giunte in atto di preghiera. Indossa vestito rosso a lacche d’oro sul quale porta sopraveste verde a lacche d’oro e manto azzurro cosparso di stelle e bordato d’oro. E’ firmato sulla base:
Fran.us Pau.lus Antolini / Civit.tis Andriae Sculptis / 1755
Gli scomparti laterali sono divisi in due ordini con due nicchie ciascuno nelle quali sono:
A sinistra, nel 1°ordine: S. Francesco (busto) col volto chino, verso sinistra, sulla croce che stringe nelle mani,
Nel 2° ordine: la Maddalena (busto) di profilo verso destra, con la mano sinistra posata sul petto. E’ vestita di verde e porta sulle spalle manto giallo sul quale ricadono sparsi i biondi capelli.
A destra, nel 2° ordine, S. Lorenzo (busto) in dalmatica rossa con la graticola nella sinistra, stringe al petto la palma del martirio e guarda verso l’alto.
I tre busti si debbono attribuire allo stesso Francesco Paolo Antolini e formano con l’Immacolata un gruppo di opere trattate magistralmente e belle nei tratti dei volti, nelle proporzioni e nella espressione. Interesse artistico-notevole.
Nella nicchia del 1° ordine a destra è stata posta una statua dell’Incoronata di legno dipinto opera di artista dell’800(6).
In un’altra scheda, inoltre, si riporta che nella nicchia del 1° ordine a destra dell’altare maggiore vi era prima del 1937 un quarto busto raffigurante Santa Lucia, posizionata dove in quell’epoca era posta inopportunamente la veneratissima statua dell’Incoronata(7). La statua della martire, unica giunta a noi grazie alla particolare venerazione nei suoi confronti, era stata in quell’epoca ridipinta e posizionata sul 2° altare della navata destra.
Sulla già citata scheda sono riportate anche informazioni tecniche sulle statue che ci permettono di meglio immaginare la composizione dell’altare: l’Immacolata aveva altezza di m. 1,70 mentre i busti m 1,10 ognuno. Lo stato di conservazione dei tre busti dell’altare maggiore non era, però, dei migliori: il S. Francesco è un po’ roso dal tarlo. Dal busto della Maddalena si è staccato il braccio destro che le posa accanto e stringe nelle mani l’unguentario. Il S. Lorenzo è sciupato nel colore per l’umidità(8).
Possiamo supporre che la poca manutenzione abbia poi peggiorato ancor di più lo stato conservativo delle stesse statue, facendo propendere per la rimozione dell’intero altare(9), anche a seguito della riforma liturgica introdotta dal Concilio Vaticano II(10).
L’importanza del corredo statuario dell’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini è testimoniata anche dallo Stato dimostrativo dei quadri, delle statue e dei bassirilievi delle chiese di Ruvo redatto il 26 Dicembre 1811, in cui sono riportate la statua alta palmi 6 della Madonna della Concezione e le statue a mezzo busto alte palmi 4 raffiguranti la Maddalena, S. Francesco, Santa Lucia, San Lorenzo(11). In un successivo inventario datato 1879, invece, vi è un generico riferimento alle cinque statue distante sull’altare maggiore, delle quali quattro a mezzo busto ed una intiera della Concezione col diadema d’argento con undici stelle(12).
I diversi inventari, redatti per ragioni diverse e in diversi momenti storici, quindi, ci permettono di intuire la bellezza e la maestosità dell’antico altare barocco dei Cappuccini di Ruvo e ci consentono, inoltre, di fare nuova luce sull’operato dello scultore Francesco Paolo Antolini di Andria.
Francesco Paolo Antolini si formò con molta probabilità presso la bottega di Nicolantonio Brudaglio, apprezzato scultore ligneo andriese, dal quale filtrò i modelli della tradizione napoletana(13).
La maggior parte della produzione dell’Antolini è concentrata tra gli anni Sessanta e Settanta del Settecento, periodo in cui il nostro scultore dovette raggiungere la maturità artistica. Sue opere sono dislocate in numerosi comuni della Puglia centrale con qualche sconfinamento sul Gargano, nel Tarantino e in Basilicata.
L’inizio dell’attività “pubblica” dell’andriese, alla luce dell’iscrizione prima riportata, andrebbe quindi anticipata al 1755, quattro anni prima del portale della chiesa del Purgatorio di Andria del 1759. Quest’ultimo era ad oggi ritenuto il primo lavoro scultoreo firmato e datato dall’artista(14).
L’iscrizione sulla base dell’Immacolata permette, quindi, di confermare l’attribuzione allo scultore di Andria dell’intero apparato scultoreo dell’altare maggiore, composto dalla statua dell’Immacolata, a figura intera, e dai busti di San Lorenzo(15), di San Francesco, della Maddalena e di Santa Lucia. Quest’ultima statua, diverse volte segnalata come opera dell’Antolini, come si è già detto, è sopravvissuta alla rimozione e dal 2000 è venerata nel nuovo complesso parrocchiale a lei dedicato. Come si può notare, il retro della statua non è del tutto rifinito ed è “appiattito”, proprio perchè l’opera era in origine destinata alla venerazione sull’altare maggiore e non all’attuale trasporto processionale.
Non sappiamo, allo stato attuale, se l’Antolini abbia collaborato anche alla cona scultorea che, come riporta la scheda di catalogo, era “dipinta” e che, quasi certamente, accoglieva anche il tabernacolo ligneo a tempietto, scampato alla distruzione(16) e oggi collocato sull’asettica parete del presbiterio della chiesa.
Sempre all’Antolini, i frati ruvesi commissionarono anche il grande ed espressivo Crocifisso ligneo (2,45×1,55 mt) che oggi sovrasta l’altare maggiore ma che inizialmente era posto nella terza cappella da sinistra (attualmente dedicata alla Madonna di Loreto).
Secondo Francesco De Nicolo, inoltre, andrà avanzata la restituzione all’andriese del S. Cleto della chiesa del Purgatorio di Ruvo di Puglia fin ora proposto come opera del Colombo, ma troppo rigido e stilizzato per essere opera del veneto, che trova precisi rimandi alla produzione dell’Antolini specie nei lineamenti del volto del tutto sovrapponibili a quelli del sipontino S. Lorenzo Maiorano(17).
La fortuna della scuola scultorea andriese tra la committenza cappuccina ruvese è confermata, infine, anche dalla statua vestita dell’Addolorata (oggi in Santa Lucia nuova) firmata da Riccardo Brudaglio, figlio del più famoso Nicolantonio, e datata al 1797, sette anni dopo la conclusione dei restauri barocchi del vetusto tempio cappuccino.
*** Si ringraziano per la disponibilità la dott.ssa Iulia Fioravanti dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, l’Ufficio Catalogo e Conservazione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari, Cleto Bucci, l’arch. Lidia Tecla Sivo, l’ing. Gianluca Stragapede e il dott. Onofrio Grieco del Museo Diocesano di Molfetta.
Crediti fotografici: Esterno, interni, tela di Sant’Anna: © Teresa Fiore; Crocifisso, Reliquiario, Tabernacolo: © BeWeb – CEI; S. Lucia, firma Brudaglio: © Archivio ilSedente; Tela Mosè: © Museo Diocesano Molfetta.
Note
↩1 | S. Fenicia, Monografia di Ruvo di Magna Grecia, Napoli 1844, p. 36 |
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↩2 | Si ritiene che durante un incauto restauro, di sicuro antecedente al 1937, la firma del bitontino sia stata mutata in Aglieri |
↩3 | E. Grimaldi, Il cantico della vil materia. La chiese cappuccine costruite nello stile dell’ordine, in Messaggero Cappuccino (2007/06 |
↩4 | La parete di fondo del presbiterio ha larghezza pari a circa 5,50 m. Si può intuire, quindi, la maestosità dell’altare che occupava gran parte di questa. Misurazioni da rilievo fornito dall’ing. Gianluca Stragapede |
↩5 | V. Cazzato, M. Fagiolo, M. Pasculli Ferrara, Atlante del Barocco in Italia. Terra di Bari e Capitanata, p. 266 |
↩6 | ICCD, Archivio Storico delle Schede di Catalogo, comune RUVO DI PUGLIA, provincia BARI, regione PUGLIA, armadio 11, busta 648, cartellina 5, scheda n. 2234 |
↩7 | Sul culto dell’Incoronata nella chiesa dei Cappuccini si veda: F. Bernardi, I Frati Cappuccini a Ruvo di Puglia, dalla fondazione del convento alla sua definitiva soppressione (1607-1861), in Studi Rubastini. Chiese, conventi e sacri palazzi a Ruvo di Puglia, a cura di C. Bucci, pp. 40-41 |
↩8 | ICCD, cit. |
↩9 | V. Pellegrini, Ruvo Sacra, Fasano 1994, p. 174 |
↩10 | F. Di Palo, Cielo e Terra. Percorsi dell’arte sacra, dell’iconografia, della devozione, della committenza a Corato Ruvo e Terlizzi tra ‘500 e ‘700, Terlizzi 1999, p. 22 |
↩11 | Archivio Stato di Bari, Intendenza, Culto e dipendenze, Stato dimostrativo dei quadri, delle statue e dei bassirilievi delle chiese di Ruvo, 26 Dicembre 1811 |
↩12 | Archivio privato C.B. – Bari, Arredi della chiesa degli ex Cappuccini inventariati il 9 ottobre 1879, ms. |
↩13 | F. De Nicolo, La scultura lignea del Settecento in Capitanata tra persistenze napoletane e produzione locale, in Atti del 30° Convegno Nazionale sulla Preistoria – Protostoria – Storia della Daunia, San Severo 2019, p. 264 |
↩14 | E. Mastropasqua, Analisi storico critica della vita e delle opere dello scultore andriese Francesco Paolo Antolini (1721-1782), in Da Nicolantonio Brudaglio a Francesco Paolo Antolini: la scultura in Puglia nel Settecento, a cura di Isabella Di Liddo, Fasano 2018, p. 181 |
↩15 | Del santo martire è ancora oggi esposto in chiesa un reliquiario ligneo a braccio. |
↩16 | F. Di Palo, Cielo e Terra. Percorsi dell’arte sacra, dell’iconografia, della devozione, della committenza a Corato Ruvo e Terlizzi tra ‘500 e ‘700, Terlizzi 1999, p. 83 |
↩17 | F. De Nicolo, La scultura lignea del Settecento in Capitanata tra persistenze napoletane e produzione locale, in Atti del 30° Convegno Nazionale sulla Preistoria – Protostoria – Storia della Daunia, San Severo 2019, p. 266 |