Al fedele, al viaggiatore o al religioso che fino alla fine dell’Ottocento si portava nella cattedrale di Ruvo di Puglia, la maggior chiesa della città si mostrava in tutta la sua ricchezza barocca: la natura austera medievale era stata quasi completamente nascosta tra stucchi, cappelle, tele, statue, ori e controsoffittature. Lo sguardo del visitatore era decisamente attratto dalla grandiosità della macchina lignea dell’altare maggiore, così descritta da Francesco Paolo Chieco: ha l’altare maggiore una gran macchina tutta dorata, alta fino alla soffitta, rappresentante nella parte superiore la statua di Maria SS. Assunta in cielo fra altre due de’ nostri protettori S. Cleto Papa (1)) e S. Biagio Vescovo; poi altre due di san Giuseppe e di Pietro (2) ed un gran quadro del nostro Redentore in pregiatissima tela, nella parte inferiore (3).
L’unica testimonianza visiva della macchina ci è giunta grazie alla campagna di catalogazione fotografica dell’architetto americano William Henry Goodyear (1846–1923), curatore artistico del Brooklyn Institute of Arts and Sciences. Tra il 1895 e il 1914 condusse una spedizione scientifica in Europa al fine di fotografare e misurare chiese, cattedrali e moschee per dimostrare la sua teoria sulle asimmetrie delle costruzioni medievali quali deliberate invenzioni degli architetti. La sua spedizione partì dall’Italia dove fu accompagnato dal fotografo John mcKecknie. Il suo corpus di scatti costituisce oggi un’importante e unica testimonianza dello stato delle chiese medievali italiane prima delle guerre mondiali. Goodyear, al ritorno negli Stati Uniti nel 1898, raccontò così il suo arrivo a Ruvo e il suo stupore per la bellezza antica della cattedrale:
La Cattedrale di Ruvo, nelle immediate vicinanze di Bari, è un altro caso interessante di conservazione integrale di romanico, sia all’interno che all’esterno. Nel 1833 Schulz fu “sorpreso nel trovare qui una Cattedrale tanto maestosa”. Rimasi anche io sbalordito nel 1895, poiché non ero a conoscenza né dello Schulz né delle foto di Moscioni. L’esistenza di questa chiesa è sconosciuta anche alle pubblicazioni turistiche e ciò potrebbe dare un’idea della difficoltà di ricerca in Puglia. […] Così per caso, durante il viaggio da Bari a Barletta, sulla strada tra Bitonto e Andria, passai per Ruvo senza aver alcuna idea che lì ci fosse una antica Cattedrale. […] I capitelli di Ruvo sono eccezionalmente fini e la facciata è molto interessante. L’Huillard-Bréholles non menziona questa chiesa (4).
Nella collezione Goodyear conservata nel Brooklyn Institute vi sono alcune foto scattate a Ruvo nel 1895 che raffigurano la cattedrale. Tra queste vi è una vista completa della navata centrale con l’artistico altare ligneo posto nell’area presbiteriale. In questa immagine sono ben riconoscibili gli elementi descritti dal chieco tra i quali emerge la grande tela posta alla base della struttura, parzialmente nascosta dall’altare liturgico marmoreo(5). Il soggetto del dipinto è, però, solo intuibile: si scorgono alcuni angeli che circondano il cristo trionfante, con il braccio destro proteso verso il basso a mostrare la stimmata della mano. Un arioso drappo cinge la vita del Signore e, appena sotto la sua mano, un angelo svolazzante regge un calice. Da un’attenta analisi della foto si nota che la tela non versava in un ottimo stato di conservazione: era allentata in più punti e quindi necessitava di immediati restauri. Questa esigenza, in realtà, era già stata avanzata nel 1853 da Stanislao D’Aloe, Segretario della Direzione del museo Reale Borbonico: nel ritornare da Venosa verso Napoli ho voluto arrivare sino a Ruvo per osservare i monumenti di quella Città; ed ho veduto che il quadro del maggior altare della Chiesa Cattedrale indicante N.S. risorto, merita essere foderato e disteso su nuovo telaio e poi restaurato, giacchè è in istato di deperimento (6). Alla nota del Segretario, il Direttore e Soprintendente del museo Reale Borbonico, Domenico Spinelli Principe di Sangiorgio, aggiunse che gli analoghi lavori ed in ispecie quelli relativi al quadro esser dovrebbero eseguiti, giusta il disposto col Real Decreto 16 settembre 1839, previo esame e parere della Reale Accademia di Belle Arti e con le norme che la medesima dovrebbe indicare (7).
La comunicazione, quindi, venne inviata all’Intendente della Terra di Bari(8) affinché si provvedesse ai restauri che, vista la foto del Goodyear, probabilmente non vennero mai effettuati. Secondo quanto riporta lo Stato dei quadri, delle statue e dei bassorilievi delle chiese di Ruvo redatto nel 1811, la tela raffigurante la Resurrezione del Salvatore era alta 10 palmi e larga 7 (circa 265×185 cm), seconda in estensione solo all’immenso dipinto raffigurante il popolo discacciato dal tempio alto 26 palmi e largo 20(9). L’importanza riservata alla tela è testimoniata anche da una conclusione capitolare dell’aprile 1742 con la quale il capitolo deliberò di far restaurare il dipinto posto sull’altare maggiore opera del “celebre pittore” Fracanzani(10).
Grazie a un appunto dello storico barlettano Francesco Saverio Vista (1834-1919)(11), è stato possibile rintracciare il contratto originario per la realizzazione dell’opera che, come si vedrà, è da attribuire al peritissimus pictor Cesare Fracanzano (Bisceglie, 16 ottobre 1605 – Barletta, 1651)(12). Figlio di Alessandro, nobile veronese, modesto pittore e autore a Ruvo della pala con i santi Vito, Modesto e Crescenza (1641) nella chiesa del carmine e forse di una Pietà nel Santuario della Madonna delle Grazie, Cesare visse le sue prime esperienze artistiche col padre. col fratello minore Francesco frequentò a Napoli la bottega del Ribera del quale subì un’influenza per la verità stilistica, per la forza del contenuto, per la vigoria del disegno, per gli effetti armonici di luce e di ombra ma maturò la sua intima e grande poesia armonizzando questi elementi col realismo del Tintoretto e del Carracci e col sentimento idealizzato del Guido Reni (13).
Il 5 luglio 1639 si presentarono dinanzi al notaio Giovanni Battista Pacelli di Barletta, il pittore cesare Fracanzano, allora dimorante in quella città, e il Reverendo don Francesco della Gacta di Ruvo per conto della cappella del SS. Sacramento eretta nella Cattedrale di Ruvo di Puglia e stipularono quanto segue: il Rev.do d. Francesco della Gacta de Rubis […] si obbliga a sue spese fare et dipingere un quadro su tela che doverà servire per la Venerabile Cappella et Confraternita del SS.mo Sacramento erecta et fundata dentro la Maggior Chiesa di detta Città di Ruvo, quale deba essere palmi dodici alto et otto largo, et in esso vi deba venire scolpita l’effigie del corpo di N.S. ignudo con una croce in un lato et con il calice nell’altro con li ragi di sangue, circondato da sei Angioli puttini con ponersi lui la tela col telaro et colori fini, deduttore però il colore oltremarino, et darlo finito di ogni bontà et perfectione a giudizio d’esperti p. tutto il mese di settembre p.o ven.to di questo presente instante anno 1639, in pace et senza lite […] alcuna; altrimenti mancando sia lecito al sopradetto Rev.do D. Francesco in nome di d.a Ven.le Cappella et Confraternita di far fare d.o quadro d’ogni bontà et perfectione ut sopra da altri maestri pictori a’ tutti danni e spese et interessi di esso p.to Fracanzani. (14)
Per la realizzazione dell’opera fu pattuito un compenso di 100 ducati da versare al Fracanzano in tre tranche entro il mese di settembre 1639. L’importante ammontare della realizzazione è un utile indicatore della “celebrità” del pittore: basti pensare che per il già citato quadro di san Vito, il padre Alessandro Fracanzano ricevette soli 26 ducati mentre cesare per un lavoro napoletano arrivò a ricevere ben 525 ducati. La realizzazione della tela, inizialmente destinata ad ornare la cappella del SS. Sacramento, si colloca nel processo di rinnovamento della cattedrale voluto dal vescovo Cristoforo Memmoli. Il presule, dopo aver rimaneggiato e ingrandito la cappella in honorem Divi Blasiy nostri Protectoris, nel 1639 dedicò il suo interesse a quella in onore del SS. Sacramento(15), in completa aderenza ai richiami tridentini che confermarono la centralità della transustanziazione. Nell’indicare il soggetto da dipingersi, la confraternita del Santissimo Sacramento, sotto l’interessamento diretto del Vescovo quale responsabile per le nuove immagini da esporre, si rifece proprio alle disposizioni della controriforma con l’affermazione in immagini della presenza “fisica” e “spirituale” del corpo e sangue di cristo nella Santa Eucarestia.
L’immagine del Corpus Domini riprende il modello antico dell’Imago Pietatis (il cosiddetto Uomo dei dolori) mutato nel corso dei secoli nell’Allegoria del Sangue di Cristo, come riportato in una xilografia pubblicata nel Tractato della humiltà di Savonarola in cui è raffigurato il cristo in piedi vivo e fisicamente splendido che fa gocciolare il suo sangue in un calice (16). Nell’immagine il Signore ricalca il modello di un eroe antico che, come lo stesso Savonarola scrive, trionfa coronato su un carro con appresso ai piedi il calice con l’ostia. Rappresentazione, questa, che ispirerà molti artisti noti e meno noti operanti tra Quattrocento e cinquecento. Citiamo, tra gli altri, Michelangelo Buonarroti per il Cristo in Santa Maria sopra Minerva, Vittore Carpaccio per l’olio su tela dei musei civici di Udine denominato Il Sangue del Redentore (1496), Lorenzo Lotto per il Cristo Redentore (1524-1527) nel museo di Palazzo d’Arco a Mantova e il “nostro” Gaspar Hovic per il Cristo risorto con confratelli e consorelle (1550 – 1574) a lui attribuito nella chiesa matrice di Santa Maria la Porta a Palo del Colle.
Il tema dell’Allegoria del Sangue di Cristo, per il collegamento diretto all’Eucarestia, è spesso raffigurato sulle portelle e decorazioni dei tabernacoli. In Ruvo è presente sulla portella del tabernacolo della chiesa di San Michele Arcangelo(17), realizzata a Napoli nel 1840(18), e nella portella del tabernacolo marmoreo posto dinanzi alla nostra tela in Cattedrale e ora nella chiesa del Purgatorio.
Qualche decennio dopo la tela ruvese, Cesare Fracanzano si occuperà nuovamente di questo tema allegorico in un ovale nel palazzo Carducci-Artenisio di Taranto(19). Nell’opera il pittore semplifica la composizione alla sola figura del Cristo che, emergendo dall’oscurità, da un lato abbraccia la croce e, dall’altro, lascia cadere il suo sangue in un calice. La tela del Corpo di Cristo di Ruvo, come si è detto realizzata per la cappella del Santissimo, fu poi posizionata sull’altare maggiore(20) nel corso dei numerosi restauri che interessarono la cattedrale tra Seicento e Settecento e sicuramente dopo il 1679 quando il Vescovo Galesio donò alla cattedrale il quadro di scuola romana raffigurante Cristo che cade sotto il peso della croce da porsi nell’accasamento dell’altare maggiore da lui rifatto(21).
Il tabernacolo, invece, fu spostato sull’altare principale già durante l’episcopato di Ferdinando Apicelli (1650- 1656), mentre nel breve vescovato di Gabriele Tontoli (1633-1635) fu rifatto in argento(22). Anche con l’edificazione del nuovo cappellone del Santissimo Sacramento (1831) il quadro resterà nell’accasamento dell’altare maggiore, quasi a testimoniare la centralità del Corpo di Cristo nel complicato e intricato complesso delle devozioni cittadine. Verrà rimosso dopo il 1895 insieme all’altare ligneo(23) e, da allora in poi, se ne perderanno le tracce e la memoria.
Note
↩1 | Un frammento di questa statua è conservato in un deposito della confraternita del Purgatorio (C. Cipriani, La santità nell’ombra: il culto e l’iconografia di san Cleto, in Studi Rubastini. In Nomine Sancti. Patroni e Protettori a Ruvo di Puglia, a cura di C. Bucci, Terlizzi 2016, p. 89 |
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↩2 | Queste pregevoli statue lignee, per un periodo esposte nella chiesa dell’Annunziata, sono oggi conservate in depositi curiali. |
↩3 | F.P. Chieco, Memorie rubastine, ms. ante 1870. Estratto pubblicato in U calendarje de la ggiende de Riuve, a cura di C. Bucci e C. Mastrorilli, 2013. |
↩4 | W.H. Goodyear, Unknown Italy, in The architectural record, n. 8 1898, p. 144-146. Traduzione dell’autore. Revisione di Irene Amenduni. |
↩5 | L’altare marmoreo fu realizzato dal capitolo nel 1860 e sostituì il più antico altare ligneo. Nel 1898 fu acquistato dalla confraternita del Purgatorio e oggi costituisce l’altare maggiore della navata meridionale della chiesa omonima. |
↩6 | Archivio di Stato di Napoli, ministero della Pubblica Istruzione, Real museo Borbonico e Soprintendenza Generale degli Scavi, b. 373, f. 30. |
↩7 | Ibidem |
↩8 | C. Bucci, La Cattedrale, the Cathedral, Bari 2003, p. 44. |
↩9 | Archivio di Stato di Bari, Intendenza, culto e dipendenze, Stato dei quadri, delle statue e dei bassorilievi delle chiese di Ruvo, 26 Dicembre 1811 |
↩10 | F. Di Palo, Da ruralis ecclesia a santuario cittadino. La chiesa della Madonna delle Grazie a Ruvo di Puglia, Foggia 2015, p. 36. |
↩11 | F.S. Vista, Cesare Fracanzano, in Rassegna pugliese, XXIII (1907), p. 165. |
↩12 | Sulla vita e sulle opere del pittore si veda: M. Romano, FRACANZANO Cesare, in Dizionario Bibliografico degli Italiani, 1997; R. Doronzo, La bellezza del divino: le opere pugliesi di Cesare Fracanzano, Barletta 2013; A. Della Ragione, R. Doronzo, Cesare Fracanzano: opera completa, Napoli 2014 |
↩13 | M.P. Coliac, Cesare Fracanzano, in www.ilfieramosca.it. |
↩14 | Archivio di Stato di Bari sez. di Trani, Notaio Giovanni Battista Pacelli, prot. 156, ff. 215-216. |
↩15 | Archivio Segreto Vaticano, congregazione del concilio, fasc. Ruben, Relatio del 1640 del Vescovo Cristoforo Memmoli, ff. 50-51. |
↩16 | S.D. Squarzina, Cristo “Uomo dei dolori” da Savonarola a Michelangelo, in Immagine di Cristo dall’acheropita alla mano d’artista: dal tardo Medioevo all’età barocca, Vaticano 2006, p. 247. |
↩17 | F. Di Palo, Sub umbra alarum tuarum. Spiritualità, devozioni e arte dei Francescani nella ‘nuova’ chiesa di San Michele Arcangelo a Ruvo, in MI-KA-EL – Chi è come Dio? La chiesa di San Michele Arcangelo a Ruvo di Puglia, Bari 2018, p. 149. |
↩18 | C. Bucci, Scritti di ieri e di oggi per la storia della chiesa di S. Angelo di Ruvo di Puglia, Terlizzi 2017, p. 47. |
↩19 | R. Doronzo, La bellezza del divino, cit., p. 203. |
↩20 | È interessante notare la distonia tra le dimensioni della tela indicate nel contratto (12×8 palmi) e quelle indicate nell’inventario del 1811 (10×7 palmi). Si tratta di un mero errore di misurazione, di una modifica in corso d’opera o la tela potrebbe essere stata “rifilata” in occasione del trasferimento sull’altare maggiore, per adattarla a un incasamento preesistente? |
↩21 | F. Di Palo, Cielo e Terra, Terlizzi 1999, pp. 29-30. |
↩22 | F.A. Bernardi, Il culto del Santissimo Sacramento a Ruvo, in Luce e Vita – Documentazione, 2 (2007), p. 144. |
↩23 | A. Avena, Monumenti dell’Italia Meridionale, Roma 1902, p. 130. |