“Crux fidélis, inter omnes arbor una nóbilis!” Croce fedele, nobile albero, unico tra tutti!
Si può sintetizzare con queste parole tratte dall’inno gregoriano Crux Fidèlis, l’unicità del Venerdì Santo nel panorama liturgico cattolico. Il giorno in cui si commemora la Passione e la morte di Gesù Cristo, pur essendo il momento più triste dell’anno, è il più simbolico e carico di pathos.
Le ultime vicende terrene del Signore, consumatasi tra l’orto del Getsemani e il Sepolcro, hanno, da sempre, ispirato particolari devozioni private e collettive che si sono tradotte in magnifiche opere d’arte esposte in cappelle private, nelle chiese e nelle Cattedrali di tutto il mondo cattolico.
Anche nella Cattedrale di Ruvo, nei secoli, sono state presenti numerose opere raffiguranti i più svariati momenti della Passio Christi. Molte di queste opere, oggi, sono celate alla devozione dei fedeli ma vengono custodite negli appositi depositi in attesa della tanto desiderata sezione ruvese del Museo Diocesano.
L’opera più rappresentativa del Venerdì Santo nella Cattedrale di Ruvo è certamente l’artistico Crocifisso ligneo, attualmente esposto sulla parete della terza campata a sinistra, ma un tempo al centro dell’omonima cappella.
La scultura, opera di un ignoto intagliatore pugliese(1), risale al XV secolo e rappresenta il Cristo nel momento immediatamente precedente alla morte in croce. La bocca socchiusa sembra sussurrare al fedele le parole riportate dall’evangelista-discepolo Giovanni “Tutto è compiuto”. Il panneggio del perizoma, stretto alla vita, sembra mosso dal freddo vento che spirava sul Golgota duemila anni fa. La stessa ritmicità della composizione è riscontrabile in altri crocifissi lignei coevi conservati nel Museo Diocesano di Brindisi, nella cripta della Cattedrale di Bitonto e nella chiesa della Santissima Trinità di Brindisi(2). Il Cristo, che nel viso non mostra segni di sofferenza, appare seminudo in tutta la sua fisicità: sono riconoscibili le costole con il segno della lancia di Longino, i nervi e i muscoli delle braccia e delle mani inchiodate al legno scuro. Gli ematomi ricordano le sofferenze della Via Crucis mentre sul capo, tra i capelli nero corvino, vi è la corona di spine a doppia corda intrecciata. Immancabile il cartiglio con il titulus crucis I.N.R.I., acronimo di Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum.
Il Crocifisso, almeno fino al 1984, era al centro dell’attuale cappella del Sacro Cuore di Gesù. La cappella, unica superstite delle quattro della navata sinistra, presenta ancora oggi le tracce dell’antica decorazione tardo-barocca con festoni floreali e angeli. Fino agli anni Settanta del Novecento la nicchia in cui era posizionato il Crocifisso era decorata con alcuni gessi raffiguranti i simboli della Passione di Cristo: la tunica, il volto del Signore, la corona di spine, il cuore trafitto, la scala, la lancia e il gallo di San Pietro. Il ricordo di questi elementi ci viene tramandato da una foto scattata in occasione dell’inventario di tutti i beni artistici delle chiese ruvesi effettuato tra il 1974 e il 1975. Già all’epoca, alcuni elementi erano mancanti o in cattivo stato di conservazione, motivazione che avrà fatto propendere per la soppressione totale dell’apparato decorativo(3).
Il Crocifisso, facendo fede al racconto dei Vangeli, era affiancato da due statue raffiguranti la Madonna Addolorata e San Giovanni. Da una prima analisi delle loro riproduzioni fotografiche, queste opere lignee sembrano essere state scolpite da intagliatori pugliesi del XVIII secolo, provenienti della scuola andriese di Brudaglio e Attolini, delle cui sculture le nostre due statue riprendono alcuni stilemi compositivi. Le immagini sacre, soppresse forse perché necessitavano di restauri, furono sostituite da omologhe sculture in cartapesta di ben minore pregio artistico, anch’esse successivamente rimosse. Le due statue furono ritrovate e recuperate, insieme a molti altri pezzi d’arte, nel corridoio di accesso all’ipogeo durante le operazioni di inventariazione.
In un inventario del 1811(4), di queste due opere è riportata solo la statua dell’Addolorata alta palmi 5 mentre è citata un’inedita statua, oggi non più rintracciabile, raffigurante Maria Maddalena, realizzata sempre in legno e della stessa altezza di quella della Vergine.
Nella cimasa dell’altare vi è, ancora oggi, un tondo raffigurante l’Orazione di Cristo nell’orto degli ulivi opera settecentesca del pittore Nardi(5). Nell’olio su metallo, delle dimensioni di 100x85cm, il Cristo, in un paesaggio in penombra, appare inginocchiato e vestito di rosso e blu, mentre volge lo sguardo a una nube nella quale appare il calice, simbolo dell’estremo sacrificio. È questo l’ultimo ricordo ancora in situ della Cappella del Crocifisso della Cattedrale ruvese.
Uscendo dalla cappella, oggi sede del battistero ma un tempo posto nei pressi del portale maggiore, è da segnalare, sulla quinta colonna cruciforme della navata destra, il disegno forse preparatorio per un affresco, raffigurante la flagellazione di Cristo. Databile al XVI secolo, la sinopia raffigura il Cristo nudo con le mani legate dietro la schiena e affiancato da due figure di flagellatori in vistosa sproporzione. Questo disegno si pone in continuità con i lacerti di affreschi scoperti, nel corso dell’Ottocento, lungo il transetto durante i lavori di rimozione della macchina barocca dell’altare maggiore.
Nella cappella del SS. Sacramento è oggi esposta la statua lignea raffigurante la Virgo Dolorosa. La statua, vestita in gramaglie, era tra le tante immagini della Vergine portate in processione nella notte tra il Giovedì e Venerdì Santo, in visita agli altari della reposizione allestiti nelle chiese rubastine(6). L’immagine viene trasferita a destra del ciborio in occasione della funzione pomeridiana del Venerdì Santo, quando la Cattedrale accoglie il simulacro ligneo del Cristo Morto trasferito dalla chiesa del Carmine. Un’altra immagine della Vergine dei Sette Dolori, ora nei locali della Curia, era esposta in Cattedrale inizialmente su un altare nei pressi del presbiterio. La tela raffigura la Vergine con sette spade conficcate nel petto tra i santi Francesco Saverio ed Ignazio e fu dipinta dal bitontino Nicola Gliri nel 1684(7). Il quadro, che riporta lo stemma e il nome del Vescovo finanziatore della realizzazione, venne poi spostato, fino alla soppressione delle cappelle laterali, nella prima cappella della navata destra. Ancora oggi, accedendo allo stretto corridoio per la discesa nel percorso ipogeico, è possibile ammirare quel che resta dell’antica decorazione e dell’incasamento del quadro.
È stata recentemente posizionata in sagrestia la bella tela con la relativa cornice lignea raffigurante l’Ecce Homo. Il Cristo, la cui figura emerge su un fondo scuro, è raffigurato vestito di porpora e con una canna nelle mani. Sul capo, incorniciato da un riflesso luminoso, è posta la corona di spine intrecciate mentre il corpo mostra i segni delle percosse subite. L’opera è stata restaurata alla fine del XX secolo per interessamento di don Paolo Cappelluti ed era stata trattenuta dalla Soprintendenza(8). Nel febbraio 2015 è tornata in Cattedrale per volere del parroco don Salvatore Summo.
È, invece, ancora celato al pubblico, il grande dipinto raffigurante Gesù che cade sotto il peso della Croce. Il quadro fu portato da Roma dal vescovo Domenico Galesio che, con testamento del 4 ottobre 1679, lo donò al Capitolo. Il vescovo aveva già posto il quadro nell’accasamento dell’altare maggiore di detta Cattedrale da lui rifatto nel 1678 e aveva donato al Capitolo anche due quadretti raffiguranti san Francesco e san Girolamo da porre accanto al dipinto(9). Il quadro, di scuola romana, in un’atmosfera tenebrosa, raffigura il Cristo vestito di rosso che soccombe al peso del legno santo, sorretto nel momento della caduta da un uomo, forse quel Simone di Cirene raccontato dai Vangeli. L’opera, distrutto l’accasamento e scomparsi i due quadretti, fu posta sulla controfacciata per poi essere rimossa e depositata nella Curia Vescovile.
Se di queste opere vi sono ancora tracce, di altre non vi è più alcun ricordo se non quanto riportato nelle carte d’archivio. Nel già citato inventario di inizio Ottocento vi è riportata una tela, larga 9 palmi e alta 5, raffigurante La Cena di Cristo cogli Apostoli ed è annotato anche un altro dipinto raffigurante la resurrezione del Salvatore. Di quest’ultimo, che raffigura l’episodio conclusivo della Passione del Signore, vi è il ricordo in una lettera dell’Archivio di Stato. Nel documento del novembre 1853, il Maggiordomo maggiore di Casa Reale scriveva all’Intendente di Terra di Bari che il Segretario della Direzione del R. Museo Borbonico, Comm. D. Stanislao D’Aloe, visitando la Chiesa Cattedrale di Ruvo ha osservato, ed indi riferito, che il quadro dello altare maggiore indicante N.S. Risorto meriterebbe essere foderato e disteso su nuovo telaio e poi restaurato…(10). Probabilmente, però, non se ne fece più nulla e la tela scomparve insieme alla macchina barocca dell’altare maggiore che la ospitava. Grazie al lavoro fotografico dell’americano William Henry Goodyear, che nel 1895 fotografò la Cattedrale, e grazie alle moderne tecnologie di elaborazione fotografica possiamo almeno intuire l’aspetto del quadro. Il Cristo trionfante, seminudo e ricoperto da alcuni drappi forse rossi, era attorniato da puttini e angeli in volo, in un’atmosfera celestiale: il trionfo pasquale della vita sulla morte, della gioia sul dolore.
Si ringraziano Cleto Bucci per le preziose indicazioni e Teresa Fiore per il corredo fotografico
Note
↩1 | F. Di Palo, Cielo e Terra, Terlizzi 1999, p. 165 |
---|---|
↩2 | A. Mingolla, Su due inediti crocifissi brindisini, in https://www.academia.edu/8531630/SU_DUE_INEDITI_CROCIFISSI_BRINDISINI |
↩3 | Si ringrazia per la concessione alla pubblicazione delle foto l’amico Cleto Bucci |
↩4 | Archivio Stato di Bari, Intendenza, Culto e dipendenze, Stato dimostrativo dei quadri, delle statue e dei bassirilievi delle chiese di Ruvo, 26 Dicembre 1811 |
↩5 | Sovrintendenza di Belle Arti di Bari, Catalogo delle opere d’arte, scheda n. 00004976 – 1975 Centro Turistico Giovanile “Torre del Pilota” |
↩6 | Cfr. Le Addolorate ai Sepolcri. Una tradizione dimenticata. |
↩7 | Cfr. Lotta tra poteri: il dipinto della Madonna dei sette dolori e l’interdetto ecclesiastico |
↩8 | C. Bucci, Dell’erigendo museo diocesano, in Rubi Fortissima Castra, Molfetta 1997, p. 129 |
↩9 | F. Di Palo, Cielo e Terra, Terlizzi 1999, pp. 29-30 |
↩10 | C. Bucci, La Cattedrale, The Cathedral, Bari 2003, p. 44 |